MAGGIOLINO O MAGGIOLINI?
Molte persone, trovandosi in casa un mobile intarsiato, dichiarano con evidente soddisfazione di possedere “un Maggiolino” (quasi si trattasse di un coleottero!). Tanto sono vaghe e nebbiose le idee correnti in materia antiquaria che spesso, il vantato “Maggiolino”, risulta essere un canterano secentesco intarsiato, ovvero, nei casi meno assurdi, un qualunque mobile intarsiato dell’epoca neoclassica.
Cerchiamo quindi di chiarirci le idee e soprattutto teniamo ben presente che “un maggiolino”, riferendosi ad un mobile, è una cosa non-esistente, mentre un Maggiolini è un mobile costruito ed intarsiato dal falegname Giuseppe Maggiolini da Parabiago, da suo figlio Carlo Francesco, oppure da qualche allievo o aiuto nel loro laboratorio.
Questi mobili sono autentici Maggiolini ma il genere di mobile da loro elaborato e reso celebre godette di tanto favore nella Lombardia del tardo Settecento e primo Ottocento, e perfino oltre i confini d’Italia, che sorse una folla d’imitatori a riempire tutta l’Italia settentrionale di mobili intarsiati “uso Maggiolini”. Anche semplici falegnami di villaggio produssero mobili impiallacciati con elementari decorazioni in tarsìa, che ora vengono inclusi nel termine generico di “mobili Maggiolini”.
La scoperta…
Giuseppe Maggiolini nacque il 23 novembre 1738 ed era figlio di un guardaboschi del convento dei Cistercensi a Parabiago.
Imparò a lavorare il legno nel laboratorio annesso al convento e dimostrò presto una rara genialità e precisione nel lavoro eseguendo, per un dotto frate numismatico, uno scaffale per tener medaglie e monete. Rimasto orfano verso i vent’anni e poverissimo volle prendere moglie ed aprire bottega per conto proprio. Nella sua bottega eseguiva mobili semplici ma di fattura accuratissima, decorati con motivi intarsiati.
Verso i quarant’anni d’età, alcuni di questi mobili esposti sulla strada davanti alla bottega (forse più per fare asciugare la vernice che per esporli) furono notati dal pittore Giuseppe Levati, venuto in gita a Parabiago col marchese Pompeo Litta, per il quale decorava il Palazzo Litta a Lainate. Il Levati si fermò, esaminò i mobili di cui ammirò la linea elegante e l’esecuzione accurata e volle conoscere il geniale artefice.
Marqueterie e Parqueterie
Da questo episodio accaduto, sembra, nel 1776, ebbe inizio la brillante carriera del Maggiolini che presto ebbe clienti fra l’alta aristocrazia di Milano e passò quasi senza accorgersi dalla categoria dei falegnami a quella degli ebanisti.
Altri pittori in voga vollero fornirgli i disegni per mobili decorati con veri quadri eseguiti in tarsìa e, dopo pochi anni, si trovò ad essere il Maestro ebanista preferito dalle famiglie nobili ed ammesso a lavorare per la Corte dell’Arciduca Ferdinando, governatore della Lombardia, per conto di sua madre, Maria Teresa d’Austria!
Il Maggiolini lavorò per la corte non solo in “marqueterie”, ossia nella tarsìa minuta dei mobili, ma anche in “parqueterie, cioè in quella larga dei ricchi e complicati pavimenti. Sotto la direzione del celebre architetto Piermarini, che dirigeva la ricostruzione e decorazione del vecchio Palazzo Ducale, eseguì diversi pavimenti ancora esistenti e molti ricchi mobili di tipo neoclassico con splendide tarsìe.
Creò così lo stile che porta il suo nome. Dovette cambiare casa, laboratorio e prendere molti lavoranti per preparare il materiale dei “parquets” da mettere in opera a Milano ed i fusti dei mobili sui quali, alcuni dei lavoranti più preparati, l’aiutavano ad applicare le sue finissime tarsìe.
86 Qualità di Legno
Giuseppe Maggiolini imparò a comporre i graziosi mazzi di fiori e frutta, i “candelabri” che così spesso decorano le lesene dei suoi mobili, i meandri ed i nastri intrecciati ed annodati, i trofei d’armi e di strumenti musicali. I nastri, “lacci e bindelli svolazzanti”, erano una sua specialità. Ma per i veri quadri di paesaggio o figura ricorreva ai più distinti artisti: ebbe il massimo contributo dal Levati, seguito dall’Appiani e dal Cantalupi, che per lui fecero molti cartoni.
Per gli intarsi il Maggiolini adoperava 86 qualità di legno, sfruttandone tutte le variazioni di tinte. Molto raramente e solo quando gli accorrevano tinte vivissime, quali l’azzurro ed il rosa, ricorreva alla tintura del legno. Otteneva l’ombreggiatura immergendo i minuti pezzi di legno nella sabbia arroventata.